Da un rapporto amoroso mostruoso tra Pasifae e un toro….. è nato, e non poteva essere altrimenti, un mostro: venne fuori un essere orribile, il cosiddetto Minotauro. A sentire Plutarco era “un’ibrida forma in cui convivevano nel medesimo istante due nature diverse, quella dell’uomo e quella del toro” (Plutarco, Vita di Teseo, 15).
Lo scandalo fu enorme. I cretesi per prendere in giro Minosse, marito di Pasifae, e ricordargli che era stato tradito anche con un toro, ogni volta che lo vedevano passare per le strade di Creta gli facevano il segno delle corna (che da quel giorno divennero il simbolo stesso del tradimento). Lui, poverino, avrebbe voluto sopprimere il Minotauro, ma gliene mancò il coraggio: era pur sempre un suo figliastro. Decise allora di nasconderlo agli occhi della gente e lo relegò in una prigione che fosse al tempo stesso confortevole ma senza vie d’uscita. Incaricò il solito Dedalo di costruirgli un complesso edilizio, poi chiamato Labirinto, dove era facile entrare e praticamente impossibile uscire. Infine, per dare da mangiare al mostro, ordinò a ciascuna delle città sottoposte al suo dominio di consegnare ogni nove anni quattordici giovanetti di buona famiglia, sette maschi e sette femmine.
A questo punto trasferiamoci ad Atene e mettiamoci nei panni del re Egeo. A lui di sacrificare quattordici ragazzi delle più prestigiose famiglie ateniesi, per darli in pasto ad un essere orrendo generato da quella poco di buono di Pasifae, non andava proprio a genio. Un bel giorno, perciò, decise di ribellarsi e incluse tra i giovani destinati al sacrificio il proprio figlio Teseo, già famoso all’epoca per il coraggio e la forza fisica. Basti dire che un giorno, a soli sette anni, aveva strangolato a mani nude un leone.
“O mio adorato figliuolo,” gli disse “va a Creta e uccidi il Minotauro, ma mi raccomando, se riesci nell’impresa, quando torni, cambia il colore alle vele: togli quelle nere e metti quelle bianche, in modo che io, anche da lontano, possa sapere che stai tornando vincitore.”
Sennonchè Arianna, la figlia di Minosse e Pasifae, non appena vide il giovane Teseo sbarcare dalla nave, se ne innamorò pazzamente. Visto e perduto, però, dal momento che il giovanotto era destinato a nutrire il Minotauro. E allora che fà? Lo blocca fuori dal labirinto e gli consegna il famoso “filo di Arianna”, quello che, una volta portata a termine la missione, gli consentirà di ritrovare l’uscita.
“Ascolta o Teseo,” gli dice “anche se riuscirai ad uccidere il Minotauro, avrai poi il problema di evadere dal Labirinto. Solo con questo gomitolo di lana hai qualche possibilità di farcela. Legane un capo all’ingresso. Srotolalo man mano che ti inoltri nei meandri, e infine, una volta eliminato il mostro, segui il filo a ritroso e ritroverai l’uscita. Giurami, però, che subito dopo mi porterai con te ad Atene e mi sposerai”.
Teseo promette, entra nel Labirinto, strangola il Minotauro e grazie al filo di Arianna trova la via d’uscita. Dopodichè si precipita al porto per tornarsene a casa. Ma chi ti trova sotto la nave, ad aspettarlo, con la valigia in mano? Ovviamente Arianna. Lì per lì l’eroe non sa che fare. Si rende conto, però, che non può evitare di portarsela dietro. Pur sapendo che ad Atene c’è un’altra fidanzata che lo sta aspettando: una certa Egle.
Arianna, intanto, più innamorata che mai, non appena sale a bordo lo copre di baci. Inutilmente Teseo cerca di calmarla:”Arianna, per favore, ci sono i marinai!”. Lei non riesce a trattenersi. Oltre tutto, a quei tempi, sulle navi greche non c’erano cabine, e che certe effusioni venivano viste da tutti. Ma ecco comparire all’orizzonte un’isoletta ricca di verde: è l’isola di Nasso.
“Fermiamoci qui,” le propose Teseo “così potremmo restare un po’ per i fatti nostri”
Attraccarono, scesero a terra e fecero l’amore dietro un cespuglio, ma Teseo, non appena si accorse che la fanciulla si era assopita, se ne tornò quatto quatto e fece rotta su Atene. Da cui la famosa frase “piantata in Nasso” ( e non “piantata in asso”, come molti credono).
Una volta sveglia, la povera Arianna si accorse di essere stata abbandonata. Lanciò, allora, nei confronti di Teseo una tremenda maledizione, che gli farà dimenticare di cambiare il colore delle vele. Così il povero Egeo, scorgendo da lontano le vele nere, pensò che il figlio fosse stato divorato dal Minotauro e, non reggendo al dolore, si gettò dall’alto di capo Sunio in quel mare che poi avrebbe preso il suo nome.