Fin dall’antichità l’uomo non ha potuto prescindere dall’utilizzo del sale. Il prodotto, infatti, era indispensabile per garantire la conservazione dei cibi, soprattutto carne e pesce, ma anche formaggi, ortaggi e altre verdure. Serviva poi per insaporire un’infinità di pietanze e nella preparazione del pane, fatte salve quelle realtà regionali, come ad esempio la Toscana, che lo preferivano sciapo.
Presso le corti principesche, nei lauti conviti, si offriva ai commensali il purissimo e pregiato “FIOR DI SALE”, infine non va trascurato l’utilizzo del sale nelle pratiche liturgiche, nella farmacopea, in virtù delle sue proprietà cicatrizzanti e in numerose attività manifatturiere, in breve, era ed è indispensabile.
Detto ciò, è evidente che il controllo del suo commercio, per mezzo di regolamenti e imposte su consumo o transito, era una priorità per qualsiasi governante. Il problema semmai, è che il sale non si trova dappertutto e poche volte risulta di qualità eccellente. La risorsa si può ottenere da giacimenti di salgemma, oppure dall’evaporazione dell’acqua marina in condizioni favorevoli.
Nell’Alto Medioevo, saline erano presenti nella laguna veneta e nelle Valli di Comacchio. I mercanti veneziani facevano soldi a palate con il sale di Chioggia che, attraverso il Po e i suoi affluenti, mandavano nelle città interne della Pianura Padana. In età moderna diversi punti della costa adriatica, tra i quali la zona di Barletta, in Puglia, e di Cervia si distinguevano per la produzione e la commercializzazione di sali apprezzabili. C’era poi Trapani, considerata la vera e unica “CAPITALE” di questa singolare manifattura. Sali erano commercializzati in Liguria verso il Piemonte attraverso corridoi prestabiliti, lungo strade di fondo valle o di crinali che portavano all’alta Val Vesubia, al Colle di Tenda o al passo del Nava, il prezioso bene raggiungeva infine i centri di redistribuzione oltremontani.
Il controllo di queste vie convenzionalmente dette “DEL SALE”, causò durante i secoli di Antico Regime asprì contenziosi tra i governi genovese e sabaudo. Ai tempi, il consumo pro capite si aggirava sui 7 Kg. abbondanti.
IL GUSTO DEL PESCE SALATO
La concentrazione di sale risulta molto alta in alcuni apprezzati formaggi (si pensi a grana, stilton, roquefort, gorgonzola) e varia nella preparazione dei salumi, non di meno è con il pesce che da sempre si crea un binomio inscindibile. Dal Rinascimento in poi, una volta sodisfatte le esigenze del mercato del pesce fresco, le acciughe (conservabili in appositi contenitori fino a tre anni), le sardine e il tonno (proveniente soprattutto dalle tonnare sarde, dove agivano vari operatori liguri) in eccedenza venivano destinati alla salatura e diventavano disponibili tutto l’anno per i pasti tanto dei poveri quanto dei ricchi, in tempo di Quaresima, inoltre, quando mangiare la carne costituiva peccato, la loro presenza sulle tavole aumentava considerevolmente.
Ad ampliare la scelta, dai Mari del nord arrivarono le aringhe olandesi, salate, a bordo dei battelli e il baccalà, come pure lo stoccafisso, prodotto essiccato, che si impose facilmente in molte cucine italiche perché ricco di proteine e molto nutriente (e aggiungerei ben maritato alle olive e all’olio EVO). Lo storico dell’alimentazione Paolo Lingua afferma che a un certo punto non solo il pesce azzurro salato sostituì sui cibi il GORUM degli antichi romani, cioè la salsa ottenuta dopo aver lasciato macerare le interiora di pescato al sole e aggiunto sale e spezie, ma che pure le acciughe salate dirette dai lidi rivieraschi in Piemonte per diventare ingrediente principe della “BAGNA CAUDA”. Nell’estremo ponente ligure, aggiunge lo studioso, si usa ancora una “salsa di acciughe sotto sale, macinate ed emulsionate con olio d’oliva, il cosiddetto MACHETO.