Cerchiamo di chiarire l’equivoco
Ho letto un bell’articolo di Pierangelo Boatti, mi è piaciuto ed ho ritenuto di riscriverlo nella mia rubrica, convinto di fare cosa gradita e rendere chiaro ciò che non è.
Cresce la voglia di spumanti italiani; si, ma cosa siano lo sanno davvero in pochi. Due sono le ragioni: la prima che il ns. Paese ha puntato alle grandi quantità, al “prezzo” e non al “valore”;la seconda che gli italiani non sono stati abituati a riconoscere la sostanza, nè il personale di servizio in wine bar e ristoranti è culturalmente preparato per un servizio di qualità.
Succede così che oggi vengano chiamati “Prosecco”, nome di denominazione specifico di un territorio, tutti gli spumanti italiani, indistintamente. In alcune nazioni, che da poco si sono avvicinate al vino, vengono chiamati “Prosecco” perfino gli Champagne.
Questi svarioni calpestano identità, culture e tradizioni. E’ ora di fare un ripasso.
Primo: quando si parla di spumante si descrive una categoria di vini che all’apertura della bottiglia producono spuma, prodotta dalla fermentazione e quindi non aggiunta in altri modi, come, ad esempio, si fà nelle bibite industriali.
Secondo: lo spumante può essere prodotto con il “metodo classico” o con il “metodo Martinotti”, che sono pianeti distinti.
Terzo: quando si leggono sulla bottiglia termini come “nature”, “extra brut”, “brut”, “extra dry”, “dry” eccetera, questi termini indicano solamente la quantità di zucchero nello spumante.
Quarto: il vino viene prodotto tramite la fermentazione alcolica; gli zuccheri naturalmente presenti nell’uva si trasformano in alcol, anidride carbonica e prodotti secondari. Per ottenere uno spumante è necessaria una seconda fermentazione per arrivare alle bollicine che lo caratterizzano, che non sono affatto tutte uguali, sia perchè si parte da uve e terroir diversi, sia perchè esistono metodi concettualmente agli antipodi. Il “metodo Martinotti” quello che identifica il Prosecco, prevede che la seconda fermentazione avvenga in vasconi d’acciaio inox e non in bottiglia. Il risultato è un vino fresco e aromatico, dai costi di produzione minori e pronto da bere anche in trenta giorni. Non è a caso che l’industria italiana del vino ci si è buttata a capofitto per esportarlo in tutto il mondo.
Il “metodo classico” italiano, che sia Oltrepò Pavese, Franciacorta, Trentodoc o Alta Langa, ha una storia diversa, prima che si arrivi in commercio a partire dalla vendemmia trascorrono, in media, da 24 a 48 mesi (mesi, non giorni) nel corso dei quali il vino si eleva con la fermentazione in bottiglia, al buio e al fresco della cantina, sotto lo stretto controllo degli enologi e dei maestri cantinieri.
Il risultato che si ottiene con sacrificio, tempo e investimenti merita lo sforzo di memorizzare che “Prosecco” non è sinonimo di “spumante”.
Il “Prosecco” è una moda, certo, anche lodevole, ma in qualche modo stà diventando la negazione dell’identità degli altri produttori, quelli che hanno imparato che all’Italia della spumantistica serve concentrarsi sul creare valore e non volume.